Geopolitica ai Giochi Asiatici

Fino ad oggi i Giochi Asiatici 2010 in corso a Guangzhou non hanno avuto una grossa eco mediatica in occidente. Soltanto una colossale doppia papera calcistica (topica del portiere, conclusione imbarazzante dell’attaccante) ha conquistato spazio nei colonnini frivoli dei giornali online e infiniti clic buontemponi su YouTube.

Ora però ci pensa la politica a fare irruzione nella sedicesima edizione dei Giochi, ospitata dalla città di Guangzhou dal 12 al 27 novembre. Lo fa con due storie al femminile che nascono a margine di due focolai di tensione nell’area asiatica. La prima è racchiusa in una fotografia. Due ragazze camminano in fila indiana. Stanno raggiungendo il podio, quello della gara individuale di tiro con l’arco, svoltasi ieri. Davanti c’è Yun Ok-hee, Corea del Sud, medaglia d’oro. Dietro di lei cammina Kwon Un Sil, Corea del Nord, bronzo. Sorridente la prima, scura in volto la seconda che è arrivata terza. Medaglia d’argento – neanche a farlo apposta, nel mezzo – si è piazzata Cheng Ming, cinese.

Più torbida la seconda vicenda al centro delle cronache. La competizione stavolta è un incontro di taekwondo. A sfidarsi ci sono una ragazza di Taiwan (che il regolamento dei Giochi Asiatici accoglie con la denominazione di Taipei cinese), Yang Shu-chun, e un’avversaria vietnamita. La disciplina prevede l’utilizzo di speciali calzature contapunti che vengono controllate prima delle competizioni. Al momento di un secondo e ultimo controllo sul tappeto di gara, l’arbitro fa rimuovere una parte dalle scarpette di Yang Shu-chun, non prevista dal regolamento dei Giochi Asiatici. La gara inizia ed è a senso unico. L’atleta di Taiwan è palesemente superiore e raggiunge un rassicurante punteggio di 9-0. Ha praticamente vinto quando il match viene interrotto e scatta la squalifica. L’arbitro dichiara vincitrice la ragazza vietnamita, anch’essa visibilmente sorpresa.

Facili le dietrologie subito brandite dalla squadra isolana. Yang Shu-chun  sarebbe stata fatta fuori per sgomberare la strada a Wu Jingyu, la cinese già medaglia d’oro a Pechino. Un complotto, insomma, ordito ai danni dell’atleta più forte. Tesi difficile da dimostrare, tuttavia, considerando la composizione mista della giuria (con un unico membro cinese) e soprattutto alla luce di un medagliere che vede già da giorni la Cina come la dominatrice incontrastata (173 ori contro i 71 della Corea del Sud e i 36 del Giappone).

Le polemiche misurano la febbre ai rapporti tra Cina e Taiwan, che rimangono tesi. Sull’isola, il partito progressista, da tempo fautore di una politica anticinese, getta benzina sul fuoco, i nazionalisti al potere – sostenitori del disgelo – provano invece a spegnerlo. Si sarebbe trattato di un’ingiustizia, ma di un’ingiustizia sportiva.

Al suo ritorno in patria, l’accoglienza per Yang Shu-chun è stata trionfale. In centinaia hanno inneggiato al suo nome sventolando la bandiera di Taiwan, gridando allo scandalo. Lei si dice distrutta, ma all’aeroporto tutta quella festa riesce a strapparle un sorriso.

L’immagine che rimarrà impressa, però, è quella del suo pianto desolato sul tappeto di gara, mentre la vincitrice, l’arbitro e i giudici se ne vanno. Sconfitta dopo aver messo a segno 9 colpi e non averne subito alcuno.

La solita Next Media Animation – taiwanese – ha già ricostruito la vicenda con un video in 3D.