È online la settima puntata di #RISCIÒ: The Great Firewall: la censura on line

In Cina ci sono 751 milioni di utenti internet. E quando si parla di internet, è quasi automatico l’accostamento con la parola “censura”. Ma come è possibile che una popolazione così grande sia soggiogata dai dettami di poche persone che decidono cosa si può o non si può leggere, scrivere e condividere? Come sempre, la realtà è più complessa di quella che sembra.

Questo il link alla puntata: http://bit.ly/2rMnSyj

Yes, WeChat. Scaricarne una, per sostituirne 100 (l’app che fa impazzire i cinesi)

smartphoneSono tornata a Pechino dopo quasi 4 anni. L’ho trovato meno cambiata di quanto pensassi, ma alcune novità mi hanno comunque colpito. Una su tutte: l’uso dell’applicazione per smartphone WeiXin, per noi “WeChat”. La conoscevo già perché l’avevo scaricata a dicembre su richiesta di un amico cinese, ma non avevo idea di quante potenzialità avesse.
E mi ha impressionato l’impatto che ha avuto nella vita di tutti i giorni dei cinesi.
“We Chat” è un’applicazione lanciata nel 2011 dal colosso cinese di internet Tencent, che raggruppa molte funzioni di cui noi italiani fruiamo attraverso app diverse. In pochi anni ha raggiunto quasi 500 milioni di utenti, 70 dei quali in territorio non cinese (l’Italia è stata scelta come paese pilota per penetrare il mercato europeo). Secondo un recente sondaggio della Chinese Academy of Press and Publication, al momento, gli adulti cinesi trascorrono almeno 40 minuti al giorno su WeChat. Tutto sommato pochi, viste le attività che WeChat consente. Semplificando, viene definita un’applicazione di messaggistica paragonabile a Whatsapp ma in realtà è molto di più: ha anche le funzioni di Facebook, Twitter, Skype, Tinder, Amazon, iTunes, Ticketone, Groupon, Uber e chi più ne ha più ne metta. Le funzioni più originali sono la “drift bottle” (permette di lanciare “messaggi in bottiglia” nel mare della rete, che possono arrivare a qualsiasi altro utente), lo “shake” (agitando il telefono si può trovare chi sta agitando il suo telefono nello stesso istante in qualsiasi parte del mondo si trovi), il QR Code (ogni account è associato a un QR code da scannerizzare).
Con WeChat si può chattare singolarmente o in gruppo, fare chiamate vocali e video, trovare le persone che usano WeChat vicino a te, condividere con gli amici foto e link, chiamare il taxi, comprare il biglietto del cinema in più di 3500 location sparse in 500 città della Cina, prendere appuntamento dal medico, giocare, regalare i tradizionali Hongbao (“le buste rosse”, i soldi che vengono donati in occasione del capodanno cinese, dei matrimoni, dei compleanni), prenotare e ordinare al ristorante… Tutto questo tramite un account collegato ad una carta di credito, dentro un’unica applicazione.
Ho visto fare una ricarica telefonica da WeChat, cercare e trovare un tagliando di sconto al momento di pagare il conto al ristorante e addirittura restituire con soldi virtuali la quota del pagamento alla romana di uno scontrino. Chiunque ti incontri, dopo essersi presentato, non ti offre più il tradizionale “mingpian”, il biglietto da visita cartaceo, ma ti chiede di shakerare il cellulare in modo da visualizzare il tuo profilo e aggiungerlo al suo elenco di contatti sull’applicazione. Chiunque. Ho trovato impressionante anche questo: in Italia non mi capita di diffondere i miei account Twitter e Facebook così spesso.

La mia amica pechinese Chiara Zhang mi ha spiegato che se hai un’azienda in Cina e non usi WeChat, ormai non esisti. Lei, al lavoro, lo utilizza per ogni cosa: marketing, vendita ma anche conference call con i suoi capi e diffusione di informazioni lavorative.
Riporto una notizia curiosa di un mese fa, che però rende bene l’idea di quanto invasiva e fondamentale sia diventata WeChat per il business in Cina: la BMW sta lavorando per integrarla nella strumentazione delle sue vetture in Cina e ha in programma di farlo senza richiedere a Tencent modifiche al software.

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La Società di Mutuo Soccorso dei giornalisti cinesi

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L’idea è antica e semplice. Se un giornalista rimane ferito sul campo oppure si ammala gravemente, i suoi colleghi per sostenerlo gli doneranno mensilmente dai 10 ai 100 yuan. Una volta ristabilitosi, il professionista dovrà a sua volta adoperarsi personalmente per il funzionamento dell’associazione di auto mutuo aiuto. Un meccanismo così semplice che non sembrava realizzabile nemmeno al suo ideatore, il fotoreporter Fu Ding. Prima di postare la proposta sulla sua bacheca di Weibo (il Twitter cinese), non avrebbe scommesso un soldo sul consenso di qualche collega. E invece si è dovuto ricredere. In poche ore le adesioni si sono moltiplicate e dopo soltanto una settimana i giornalisti che hanno risposto all’appello erano già 350. Dalla rete è emersa ancora una volta una delicata tematica: la difesa professionale dei lavoratori cinesi del mondo dell’informazione, a tutt’oggi privi di un vero organo di tutela, se si esclude la governativa All-China Journalists Association, per molti un puro dipartimento con compiti di propaganda. Sempre più spesso, in Cina, il lavoro dei giornalisti è duramente ostacolato e si moltiplicano gli episodi di violenza che vedono coinvolti i reporter più audaci e coraggiosi. A detta di alcuni fotografi, il momento del primo pestaggio è diventato una tappa obbligata della carriera, una sorta di battesimo professionale.

Gli operatori dei media che non hanno ancora subito pressioni o violenze, in realtà, sono stati più semplicemente corrotti, alimentando la sfiducia della gente sull’operato di giornali e telegiornali. Fece scandalo, qualche anno fa, la foto che immortalava gli inviati speciali sul luogo di un disastro in una miniera in fila davanti al padrone dell’impianto per ricevere la classica mazzetta e mettere a tacere le polemiche sulla sicurezza degli operai.

Giornalisti come Fu Ding sono disposti a giurare sull’onestà di gran parte della categoria, che però deve fare i conti con la grama realtà di una professione estremamente usurante. Orari pazzeschi, corse ad ostacoli, nessuna tutela legale, lavori minuziosi non pubblicati perché scomodi, infinite pressioni affinché le notizie siano sempre e soltanto buone notizie.

Fu Ding ammette di essere mosso altresì da una motivazione personale. Il suo giovane collega, il ventisettenne Chen Kun, è gravemente malato. Insieme i due hanno eroicamente raccontato ai cinesi il dramma del terremoto del Sichuan. Chen Kun si è distinto in particolare per essersi preso cura del figlio di una donna rimasta intrappolata sotto le macerie. Ora è lui ad aver bisogno dell’aiuto dei cinesi. Almeno di quelli che condividono il suo stesso mestiere.

Il 1° Luglio di Sven Englund, cittadino non gradito

Sven Englund è uno studente svedese di 24 anni, e ieri è stato espulso dalla Cina.
Motivazione ufficiale: “aver messo a rischio l’ordine pubblico e aver violato l’articolo 55 della legge sulla sicurezza sociale della Repubblica Popolare Cinese”.
In realtà, il sedizioso europeo non ha fatto altro che pubblicare sul suo blog cinese una lettera aperta a Hu Jintao, in cui chiedeva al Presidente della Repubblica Popolare di partecipare ad un flash mob in favore della libertà.
Il 27 giugno, Englund ha postato alcuni autoscatti sulla falsariga di quelli realizzati dall’artista attivista Ai Weiwei e si è così rivolto alla massima autorità cinese:

“Caro Presidente,

non ha risposto alle mie prime due lettere. Probabilmente è troppo impegnato nella preparazione delle celebrazioni del 1° Luglio [n.d.r.: il 90° anniversario della nascita del Partito Comunista Cinese]. In realtà, anch’io ho i miei programmi. Oggi, ho scattato alcune foto nel distretto Putong di Shanghai. L’idea l’ho presa da Ai Weiwei. Ha presente Ai Weiwei? Ha tenuto una mostra d’arte denominata “Fuck Art”. Io di solito non uso termini come quelli, ma sono d’accordo sul fatto che la libertà di informazione sia molto importante. A mio parere, la Cina non ha questa libertà. Quindi per il mio 1° Luglio avrei questo progetto: un’azione di flash mob con inizio alle ore 18:00 nel distretto di Pudong. Non posso andarci da solo, ho proprio bisogno di un flash mob. È per questo che vorrei che lei prendesse parte all’iniziativa e inoltrasse questo messaggio a tutti i suoi amici che amano la libertà. Se non avesse tempo di venire a Shanghai, può sempre organizzare un flash mob in qualsiasi altra città. Ok?”.

Il post prosegue spiegando i dettagli della manifestazione pacifica e invitando i partecipanti a mettere in evidenza su qualche parte del corpo i caratteri 自由 Ziyou, quelli della parola “libertà”.
La risposta delle autorità cinesi non si è fatta attendere: Englund è stato subito chiamato a sostenere un interrogatorio dalla polizia. Gli è stato requisito il passaporto e gli è stato chiesto di scrivere un post di rettifica in cui annullare il flash mob spiegandone la sua formale illegalità. Il giovane, infatti, secondo la polizia avrebbe dovuto inoltrare una preventiva richiesta di autorizzazione.


Venerdì 8 luglio il visto da studente di Sven Englund è stato revocato e sabato il giovane è stato costretto ad espatriare e tornare in Svezia.

Da molto tempo la Cina non espelleva dal suo territorio cittadini stranieri. Un segnale anche questo della crescente paura che il governo cinese ha di internet. Le rete, infatti, viene identificata sempre di più come un luogo di potenziale aggregazione sociale, in particolar modo da quando a febbraio si sono moltiplicati, e sono stati immediatamente censurati, gli inviti a diffondere anche in Cina lo spirito della “Jasmine Revolution”.

(La foto di Ai Weiwei da cui ha tratto ispirazione Sven Englund)

Tempo di bilanci per lo YouTube cinese

È iniziato il 2011 ma si traggono ancora bilanci sull’anno appena trascorso. Nel villaggio globale miliardi di occhi si sono concentrati in rete sui video che sempre più spesso accompagnano – e talora sostituiscono – le notizie. Quali sono i filmati più visti? Dipende. YouTube ha stilato la sua autorevole classifica, me anche i siti di informazione hanno tirato le proprie somme. Repubblica.it ci informa dello strepitoso successo in termini di clic del dito di Gianfranco Fini puntato dritto contro Silvio Berlusconi. Molto guardate anche le “paracadutiste in topless”, la gaffe cestistica di Lapo Elkann e quella (a sfondo sessuale) di Rachida Dati.

E i cinesi? Il sito Chinasmack ha riportato nei giorni scorsi la classifica di YouKu, il cugino con gli occhi a mandorla del colosso californiano della video condivisione.

Al primo posto la straziante richiesta d’aiuto da parte di un ragazzo tra le rovine del terremoto di Yushu, girato con un telefonino nell’aprile 2010.

La seconda piazza spetta a un lungo spezzone di “Old Boy”, commedia di successo sulla nostalgia degli anni ’70-’80.

Sul terzo gradino del podio la canzone fai da te di un duo, Xuri Yanggang, capace di intercettare i sentimenti del popolo dei migrant worker. Il titolo del pezzo: “In a spring day”.

Quarto posto per il vigile che dirige il traffico con le movenze di Michael Jackson. Il malcapitato addetto al traffico è stato ovviamente manipolato grazie ad un sapiente montaggio.

Quinta posizione per gli spettacolari salvataggi avvenuti nel corso delle tremende alluvioni nella provincia di Jilin, a Yongji, nel corso del mese di luglio.

Grande successo online (sesto posto) per la commedia “Tan Te”, di cui sul web abbondano rifacimenti e parodie.

Settimo il video con le lacrime del calciatore nordcoreano Jong Tae-Se durante l’inno della sua nazionale nel corso del mondiale sudafricano. Sincera stima per il patriottismo di un “cugino”di Pyongyang, il cosiddetto “Rooney del popolo”? Stranamente il video è ora irraggiungibile su YouKu.

Posizione numero 8 per delle altre lacrime, questa volta quelle di “Brother Sharp”, il clochard cinese finito su molte copertine per essere inconsapevolmente diventato una sorta di “icona di stile”.

None le performance americane di Xiao Wang, il piccolo ballerino di breakdance partito dalla strada e finito addirittura nel salotto di Ellen DeGeneres.

Decimo posto per i fuochi artificiali a Shanghai, in occasione dell’apertura dell’Expo.

Il culto dei morti al tempo dell’iPhone

Modernità e tradizione. Fusi come non mai nel presente della Cina. E nel negozio di Au Yeung, a Honk Kong. Un luogo dove acquistare l’ultimo modello di iPhone o una console Nintendo DS. Con una spesa modestissima, anche se non stiamo parlando dell’ultima battaglia del celeste impero contro il copyright delle tecnologie. Non proprio. Trattasi infatti di smartphone e videogiochi di carta, modellati da Au Yeung con maniacale cura per i dettagli. Offerte votive ai morti, ai morti di oggi. A chi lascia questo mondo e nella fattispecie lo lascia troppo presto, nel fiore della giovinezza.

Bruciare la carta durante il Zhongyuan Jie (Ghost Festival) e nel corso della festività primaverile Qing Ming Jie è un rito antichissimo. La carta rappresenta il denaro offerto dai vivi affinché siano sostenute le spese dei morti nell’aldilà. Esistono da tempo speciali facsimili di banconote utilizzabili in queste occasioni, e non sono mancati in passato esempi di modellini di abitazioni e automobili – sempre cartacei – ad uso dei defunti, una volta bruciati, nel loro cammino ultraterreno.

Una tradizione fiorita nelle aree rurali e che combatte oggi contro la realtà dell’urbanizzazione, con le autorità che spesso tendono a vietarla in nome di istanze di sicurezza e propositi ambientalisti: il fumo dei falò aggraverebbe l’inquinamento atmosferico e in ogni caso rappresenta uno spreco di carta.

Tuttavia, la creatività di Au Yeung sembra contribuire a rilanciare l’antica tradizione, coniugandola al presente, mettendola al passo con le nuove tendenze della società dei consumi. Un lavoro di cesello, il suo, di precisione chirurgica, perché i genitori di un giovane defunto sono molto esigenti, e non si accontentano che vicino alla tomba del figlio bruci l’effige di un utilissimo laptop. Vogliono che sia proprio un Sony, quello che avrebbe desiderato lo scomparso.

Da qualche tempo in Cina esiste un rapporto tra il culto dei morti e le nuove tecnologie. La nascita di pagine web con la funzione di simulacri, memoriali, di vere e proprie tombe virtuali viene incontro a esigenze di natura igienica, al problema della carenza di spazi e incontra il desiderio di limitare i costi e di abbattere le distanze tra il luogo di sepoltura e l’affetto per l’estinto da parte dei suoi cari. Non fiori ma un clic con il mouse.

Dagli al demolitore!

La musica è elettronica e potente. Puoi scegliere se essere il vecchio signore con il fucile, l’anziana che lancia le ciabatte, il ragazzino con la fionda, il tizio in sovrappeso armato di fuochi d’artificio o addirittura un neonato in fasce… Te ne stai arroccato all’ultimo piano di un pericolante edificio marcato dall’infame carattere “chai” – demolire – e il tuo obiettivo è tenere il più possibile lontani gli operai e le ruspe. “La grande guerra della casa chiodo contro la squadra delle demolizioni” (钉子户大战拆迁队) è un nuovo gioco online che, a solo un mese dal lancio, è già diventato una hit dell’internet cinese.

Riprende il tema dello sfratto forzato, tristemente noto alle cronache dal Celeste Impero.

Negli ultimi anni, milioni sono stati infatti i cinesi allontanati dall’oggi al domani dalle proprie abitazioni, formalmente in nome di “esigenze di risanamento di quartieri malsani”, in realtà spesso vittime dell’alleanza tra un potere autoritario e gli interessi speculativi di palazzinari senza scrupoli. Molti i gesti estremi (c’è chi ha praticato una resistenza passiva e chi per protesta si è dato fuoco…) di cittadini esasperati e forse illusi di poter godere di un diritto nuovo di zecca: la proprietà. Diritto al quale le nuove classi medie urbane baciate dal boom economico non sembrano più poter rinunciare a cuor leggero.

In difesa dei cittadini letteralmente espulsi dalle proprie case, si era levata, alla fine del 2009, la voce di 5 importanti giuristi dell’Università di Pechino – Shen Kui, Jiang Ming’an, Wang Xixin, Qian Mingxing e Chen Duanhong – autori di un documento sottoposto all’Assemblea Nazionale del Popolo in cui si chiedeva una revisione delle normative in materia di demolizioni, a loro avviso palesemente anticostituzionali.

La battaglia, almeno finché dall’alto qualcuno non imporrà il Game Over, continua ora sul web.

Linea diretta con il potere

“Zhitong Zhongnanhai” è un nuovo forum del sito people.com.cn, inaugurato mercoledi scorso. Il nome è tutto un programma: “Linea diretta con Zhongnanhai”, ovvero una particolare bacheca online che mira a fornire agli utenti internet la possibilità di avere un dialogo semi diretto con gli inavvicinabili leader del PCC (Zhongnanhai è infatti il quartier generale del Partito e del governo centrale). Un tentativo di ‘democratizzazione’ di un processo decisionale che rimane ancora legato alle scelte di pochi.
In soli 4 giorni sono già comparsi più di 16.000 messaggi per il presidente Hu Jintao e più di 11.000 richieste rivolte al premier Wen Jiabao. I temi sollevati riguardano problematiche che toccano e preoccupano i cittadini cinesi e di cui i leader della Repubblica Popolare sono ben consapevoli: la crescita smodata dei prezzi delle abitazioni, un’efficace campagna anti-corruzione e nuove riforme politiche.
Non essendo ancora chiaro come l’elite del partito riceverà e risponderà ai messaggi degli utenti, molti rimangono scettici e credono che si tratti dell’ennesima trovata populista. Negli ultimi anni è capitato spesso che funzionari governativi abbiano aperto blog o account di microblog per dimostrarsi più vicini ai cittadini. Si sono tuttavia limitati solo a rispondere, molto in ritardo, ai commenti degli utenti, scrivendo spesso formule vuote e piene di banalità.

Non è la prima volta che i massimi leader cercano un avvicinamento telematico con il popolo. Lo scorso marzo, durante il Congresso Nazionale del Popolo, Wen Jiabao ha tenuto una chat online sul sito della Xinhua News Agency. Per un’ora ha risposto in diretta alle domande che arrivavano al sito. L’iniziativa è stata molto apprezzata.