La Società di Mutuo Soccorso dei giornalisti cinesi

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L’idea è antica e semplice. Se un giornalista rimane ferito sul campo oppure si ammala gravemente, i suoi colleghi per sostenerlo gli doneranno mensilmente dai 10 ai 100 yuan. Una volta ristabilitosi, il professionista dovrà a sua volta adoperarsi personalmente per il funzionamento dell’associazione di auto mutuo aiuto. Un meccanismo così semplice che non sembrava realizzabile nemmeno al suo ideatore, il fotoreporter Fu Ding. Prima di postare la proposta sulla sua bacheca di Weibo (il Twitter cinese), non avrebbe scommesso un soldo sul consenso di qualche collega. E invece si è dovuto ricredere. In poche ore le adesioni si sono moltiplicate e dopo soltanto una settimana i giornalisti che hanno risposto all’appello erano già 350. Dalla rete è emersa ancora una volta una delicata tematica: la difesa professionale dei lavoratori cinesi del mondo dell’informazione, a tutt’oggi privi di un vero organo di tutela, se si esclude la governativa All-China Journalists Association, per molti un puro dipartimento con compiti di propaganda. Sempre più spesso, in Cina, il lavoro dei giornalisti è duramente ostacolato e si moltiplicano gli episodi di violenza che vedono coinvolti i reporter più audaci e coraggiosi. A detta di alcuni fotografi, il momento del primo pestaggio è diventato una tappa obbligata della carriera, una sorta di battesimo professionale.

Gli operatori dei media che non hanno ancora subito pressioni o violenze, in realtà, sono stati più semplicemente corrotti, alimentando la sfiducia della gente sull’operato di giornali e telegiornali. Fece scandalo, qualche anno fa, la foto che immortalava gli inviati speciali sul luogo di un disastro in una miniera in fila davanti al padrone dell’impianto per ricevere la classica mazzetta e mettere a tacere le polemiche sulla sicurezza degli operai.

Giornalisti come Fu Ding sono disposti a giurare sull’onestà di gran parte della categoria, che però deve fare i conti con la grama realtà di una professione estremamente usurante. Orari pazzeschi, corse ad ostacoli, nessuna tutela legale, lavori minuziosi non pubblicati perché scomodi, infinite pressioni affinché le notizie siano sempre e soltanto buone notizie.

Fu Ding ammette di essere mosso altresì da una motivazione personale. Il suo giovane collega, il ventisettenne Chen Kun, è gravemente malato. Insieme i due hanno eroicamente raccontato ai cinesi il dramma del terremoto del Sichuan. Chen Kun si è distinto in particolare per essersi preso cura del figlio di una donna rimasta intrappolata sotto le macerie. Ora è lui ad aver bisogno dell’aiuto dei cinesi. Almeno di quelli che condividono il suo stesso mestiere.

Il 1° Luglio di Sven Englund, cittadino non gradito

Sven Englund è uno studente svedese di 24 anni, e ieri è stato espulso dalla Cina.
Motivazione ufficiale: “aver messo a rischio l’ordine pubblico e aver violato l’articolo 55 della legge sulla sicurezza sociale della Repubblica Popolare Cinese”.
In realtà, il sedizioso europeo non ha fatto altro che pubblicare sul suo blog cinese una lettera aperta a Hu Jintao, in cui chiedeva al Presidente della Repubblica Popolare di partecipare ad un flash mob in favore della libertà.
Il 27 giugno, Englund ha postato alcuni autoscatti sulla falsariga di quelli realizzati dall’artista attivista Ai Weiwei e si è così rivolto alla massima autorità cinese:

“Caro Presidente,

non ha risposto alle mie prime due lettere. Probabilmente è troppo impegnato nella preparazione delle celebrazioni del 1° Luglio [n.d.r.: il 90° anniversario della nascita del Partito Comunista Cinese]. In realtà, anch’io ho i miei programmi. Oggi, ho scattato alcune foto nel distretto Putong di Shanghai. L’idea l’ho presa da Ai Weiwei. Ha presente Ai Weiwei? Ha tenuto una mostra d’arte denominata “Fuck Art”. Io di solito non uso termini come quelli, ma sono d’accordo sul fatto che la libertà di informazione sia molto importante. A mio parere, la Cina non ha questa libertà. Quindi per il mio 1° Luglio avrei questo progetto: un’azione di flash mob con inizio alle ore 18:00 nel distretto di Pudong. Non posso andarci da solo, ho proprio bisogno di un flash mob. È per questo che vorrei che lei prendesse parte all’iniziativa e inoltrasse questo messaggio a tutti i suoi amici che amano la libertà. Se non avesse tempo di venire a Shanghai, può sempre organizzare un flash mob in qualsiasi altra città. Ok?”.

Il post prosegue spiegando i dettagli della manifestazione pacifica e invitando i partecipanti a mettere in evidenza su qualche parte del corpo i caratteri 自由 Ziyou, quelli della parola “libertà”.
La risposta delle autorità cinesi non si è fatta attendere: Englund è stato subito chiamato a sostenere un interrogatorio dalla polizia. Gli è stato requisito il passaporto e gli è stato chiesto di scrivere un post di rettifica in cui annullare il flash mob spiegandone la sua formale illegalità. Il giovane, infatti, secondo la polizia avrebbe dovuto inoltrare una preventiva richiesta di autorizzazione.


Venerdì 8 luglio il visto da studente di Sven Englund è stato revocato e sabato il giovane è stato costretto ad espatriare e tornare in Svezia.

Da molto tempo la Cina non espelleva dal suo territorio cittadini stranieri. Un segnale anche questo della crescente paura che il governo cinese ha di internet. Le rete, infatti, viene identificata sempre di più come un luogo di potenziale aggregazione sociale, in particolar modo da quando a febbraio si sono moltiplicati, e sono stati immediatamente censurati, gli inviti a diffondere anche in Cina lo spirito della “Jasmine Revolution”.

(La foto di Ai Weiwei da cui ha tratto ispirazione Sven Englund)

Cuore di Mamma Wu

In Italia esiste l’Agedo, Associazione GEnitori Di Omosessuali. Uomini e donne coraggiosi che stanno dalla parte giusta, gente che come il padre di Ivan Scalfarotto “non ha detto una cazzata” nel momento cruciale dei momenti cruciali.

Quando mi decisi a raggiungerlo in un luogo di Milano per bere qualcosa insieme, lui era furibondo. Si sentiva preso in giro, avvertiva che c’era qualcosa che non andava, capiva che volevo tenerlo lontano da casa mia e si domandava il perché. Colsi l’attimo: «D’accordo: c’è una cosa che non sai e che devi sapere, altrimenti non potrai entrare in casa mia né oggi né mai». «Hai una donna?». «No, ho un uomo». Passarono tre interminabili secondi nei quali lui mi ha poi confessato di avere pensato qualcosa tipo: «Non posso dire una cazzata, ora. Quello che dirò adesso mio figlio se lo ricorderà per sempre». Finalmente uscì un «Ebbè?». Proprio così: «Ebbè?».

Ivan Scalfarotto, In nessun paese, Piemme.

Gente che si batte perché l’Italia diventi un paese moderno e inclusivo. E perché possa finalmente reggere il confronto con i paesi che la circondano in materia di diritti civili. I cinesi, nel loro (grandissimo) piccolo, non hanno l’Agedo. Però hanno Mamma Wu.

Anche Mamma Wu, al secolo Wu Youjian, 63 anni, davanti al coming out del figlio Zheng Yuantao non ha detto una cazzata.

“Gli ho detto che non c’era niente di sbagliato e che non era un grosso problema”, ricorda. Un piccolo capolavoro di anticonformismo, nella Cina che, nonostante non consideri da tempo l’omosessualità un reato o una malattia, preferisce in ossequio alla tradizione vedere i propri figli sposati, al fianco di una persona rigorosamente del sesso opposto. E Mamma Wu, quella che è il contrario di una cazzata, ha pensato di andarla a dire in Tv, davanti alle telecamere dei media di stato. E si sa che nel Gigante Asiatico, parlare in Tv significa rivolgersi spesso a folle oceaniche.

Zheng Yuantao è consapevole di essere un caso particolarmente raro e fortunato. I suoi amici gay spesso subiscono estenuanti pressioni da parte degli ignari genitori. Padri e madri esasperati ogni giorno in Cina cercano personalmente una fidanzata per gli eredi maschi, quelli con le vedute più strette li indirizzano verso terapie psichiatriche, altri ancora, per la vergogna, troncano i legami familiari con i figli gay.

Nel frattempo, aumenta il numero dei suicidi tra gli omosessuali. Le cifre fanno impressione: un giovane gay su tre, in Cina, tenta di togliersi la vita. In grande ascesa, negli ultimi anni, anche il fenomeno dei matrimoni paravento, con coppie formate da un gay e una lesbica che pur di conservare il proprio stile di vita decidono di simulare una condotta del tutto conforme alle regole della tradizione.

Mamma Wu è consapevole di aver urtato, con la sua scelta di battersi all’interno della comunità gay, la sensibilità di molti cinesi. Ha incassato sarcasmi e critiche, talora offese. “Ha condotto i nostri figli in luoghi più sporchi dei bordelli”, si è detto di lei. “Ha velocizzato la morte morale di una società già malata”, ha ringhiato qualcuno. Wu Youjian ha tirato dritto, pensando soltanto alla concretezza dell’aiuto che poteva fornire ai ragazzi come suo figlio.

Giornalista in pensione, Mamma Wu ha aperto un blog da 2,2 milioni di visite, ha iniziato ad utilizzare Twitter, ha lanciato un numero verde e ha fornito la spinta propulsiva alla nascita di un vivace associazionismo da parte di familiari e amici di gay e lesbiche. Nella Cina assorbita dai ritmi frenetici dello sviluppo economico, da sempre ancorata ai valori della famiglia tradizionale, vanno alla deriva gli individui, naufragano le felicità singolari. Non soltanto nel mondo GLBT. Mamma Wu sembra guardare verso un’altra Cina. In un nuovo libro, “L’amore è il più bell’arcobaleno”, racconterà le storie incontrate nella sua seconda vita, quando da madre del giovane Zheng Yuantao è diventata la madre di tanti, tantissimi gay cinesi.

Latte alla melamina: colpevole anche chi denuncia

Sei bambini morti. Quasi trecentomila intossicati gravemente. La Cina sembrava aver chiuso il caso del latte contaminato alla melamina, lo scandalo capace di monopolizzare le cronache nel settembre 2008, all’indomani delle Olimpiadi. L’aveva fatto a modo suo, con pragmatismo e con una rigida offensiva giudiziaria: c’erano state tre condanne a morte per i responsabili diretti, l’ergastolo per i dirigenti della ditta protagonista dello scandalo (la Sanlu), molteplici altre pene esemplari distribuite secondo i diversi gradi di coinvolgimento nel reato.

Di ieri la notizia di una nuova condanna originata da quei fatti. C’è un altro colpevole, per la Cina, nello spinoso affaire Sanlu. Si tratta di Zhao Lianhai, 38 anni, genitore di uno dei bambini intossicati.

La sua colpa? Zhao si sarebbe macchiato del reato di “incitamento al disordine sociale”. Di diverso avviso l’avvocato Li Fangping, pronto a dichiarare che il suo assistito non avrebbe fatto “nulla più di ciò che avrebbe fatto un normale cittadino”.

Ex impiegato della China’s Food Quality and Safety authority, Zhao Lianhai due anni fa ha subito realizzato che la tragedia capitata a suo figlio (una grave patologia renale dovuta al composto chimico inserito nel latte al fine di esaltarne artificiosamente le caratteristiche nutritive durante i controlli) avrebbe potuto in breve tempo espandersi a macchia d’olio su migliaia di bambini e colpire soprattutto tra le famiglie più povere e sprovvedute, incapaci di riconoscere in tempo i sintomi dell’intossicazione.

Si è quindi attivato creando una rete di sostegno per i genitori vittime del latte alla melamina e soprattutto fornendo informazioni utili ai cittadini grazie ad un sito web. Ha clamorosamente rotto il silenzio che le autorità hanno fin da subito deciso di far calare sulla vicenda, timorose di veder sorgere nei consumatori pericolosi sentimenti di diffidenza. Si è fatto intervistare, ha partecipato a pubblici confronti.

Nel novembre del 2009 Zhao Lianhai è stato ammanettato e incarcerato come un pericoloso criminale. Da allora non ha più potuto incontrare la moglie e il piccolo Zhao Pengrui, involontario coprotagonista della vicenda. Nella primavera del 2010 ha avuto inizio il processo, conclusosi ora con la condanna a due anni e mezzo di reclusione, il primo dei quali ormai già scontato.

Il caso del latte alla melamina sembrava aver inaugurato una nuova era nella gestione della sicurezza pubblica da parte delle autorità cinesi. Inizialmente i media avevano potuto raccontare i fatti, e nella società erano sorte iniziative simili a quelle che in occidente sono appannaggio dei movimenti per i diritti dei consumatori.

Fuochi di paglia: a due anni dallo scandalo, un uomo sta conducendo uno sciopero della fame in carcere gridando la sua innocenza (“se denunciare un reato alla polizia è considerato un crimine…. allora viviamo in una società davvero pericolosa”, ha dichiarato Zhao) e migliaia di famiglie sono state risarcite per le gravi patologie di cui sono vittime i figli. 2000 yuan per ogni bambino. All’incirca 210 euro.

Una poesia di Liu Xiaobo. Il Nobel per la Pace che anche con la Letteratura non scherza

È passata quasi una settimana dall’assegnazione del Premio Nobel per la Pace al dissidente cinese Liu Xiaobo. Nei vari articoli che compaiono sui giornali in questi giorni, Xiaobo viene definito anche “professore, critico letterario e poeta”. Grazie al Premio Nobel, ormai sappiamo molto dei suoi scritti politici, soprattutto di Charta 08, il documento diffuso nell’anno delle Olimpiadi per chiedere aperture e riforme politiche che gli è costato la pena di 11 anni di detenzione in un carcere nella sperduta provincia del Liaoning.

Meno conosciuta, al momento, la produzione letteraria di Liu Xiaobo. Stando ai versi che offiCina pubblica in questo post, composti nel 2000 e dedicati alla moglie Liu Xia, pare evidente come VITA (le sue idee e le battaglie per poterle esprimere liberamente) e OPERE siano, come spesso accade per gli artisti, assolutamente inscindibili.

Dalla rete riemerge anche un audio prezioso: Liu Xiaobo letto da Paul Auster. Una piccola chicca, e un altro tassello utile a conoscere meglio il Nobel per la Pace 2010.

One Letter Is Enough

for Xia

one letter is enough
for me to transcend and face
you to speak

as the wind blows past
the night
uses its own blood
to write a secret verse
that reminds me each
word is the last word

the ice in your body
melts into a myth of fire
in the eyes of the executioner
fury turns to stone

two sets of iron rails
unexpectedly overlap
moths flap toward lamp
light, an eternal sign
that traces your shadow

8. 1. 2000

Una lettera mi basta

per Xia

una lettera mi basta
per andare oltre e
trovarmi a parlare con te

proprio come il vento che attraversa
la notte
e usa il suo sangue
per scrivere un verso segreto
che mi ricorda che ogni parola
è l’ultima

il ghiaccio che hai nel corpo
si scioglie in una leggenda di fuoco
negli occhi del carnefice
l’ira diventa pietra

due file di sbarre di ferro
inaspettatamente si sovrappongono
falene sbattono forte le ali verso
la luce della lampada, segno incessante
che disegna la tua ombra

8. 1. 2000

Traduzione in inglese: Jeffrey Yang
Traduzione in italiano: Maria Cristina Donda

[cincopa A8KA2SaE4WLs]

Il dramma dei petizionisti desaparecidos

Black jails. Carceri nere. Se ne parla da tanto, in Cina. Centri di detenzione illegale, prigioni improvvisate dentro camere d’albergo o anonimi appartamenti.

La notizia, fresca, è che la polizia di Pechino sta conducendo un’indagine a carico di una fantomatica azienda nel campo della sicurezza, la Anyuanding Security and Prevention Technical Support Service, accusata di aver custodito illegalmente liberi cittadini, colpevoli soltanto di aver raggiunto la capitale per depositare le firme di una petizione. In Cina funziona così: il popolo ha il diritto di raggiungere la capitale per sottoporre alle autorità i propri cahiers de doléances.

Nella fattispecie, governanti locali, timorosi di perdere credito nei confronti delle autorità della capitale, si sarebbero rivolti all’impresa affinché intercettasse e facesse sparire gli ambasciatori delle proteste popolari, detenendoli illegalmente fino al momento di rispedirli nei rispettivi luoghi d’origine.

Dopo che negli scorsi anni l’esistenza delle carceri nere era sempre stata smentita dalle autorità di polizia e dal Governo, oggi trapelano le prime ammissioni sull’esistenza di un fenomeno in continua crescita. Politici locali pagherebbero 300 yuan per ogni firmatario di petizioni allontanato forzatamente dal suo obiettivo. Impressionanti, se si pensa che potrebbero derivare da attività di questo tipo, le entrate del 2008 della Anyuanding Security and Prevention Technical Support Service: 21 milioni di yuan (3,1 milioni dollari), secondo la rivista finanziaria “Caijing”.

I “carcerieri”, in uniforme da poliziotti, catturano le proprie vittime per la strada, a Pechino ma anche fuori città.

Secondo Human Rights Watch, è lo stesso meccanismo di valutazione dell’operato dei governi locali basato sul numero di petizioni presentate a Pechino a favorire il fenomeno delle incarcerazioni illegali. Un sistema perverso che genera mostri come le black jails.

Dagli al demolitore!

La musica è elettronica e potente. Puoi scegliere se essere il vecchio signore con il fucile, l’anziana che lancia le ciabatte, il ragazzino con la fionda, il tizio in sovrappeso armato di fuochi d’artificio o addirittura un neonato in fasce… Te ne stai arroccato all’ultimo piano di un pericolante edificio marcato dall’infame carattere “chai” – demolire – e il tuo obiettivo è tenere il più possibile lontani gli operai e le ruspe. “La grande guerra della casa chiodo contro la squadra delle demolizioni” (钉子户大战拆迁队) è un nuovo gioco online che, a solo un mese dal lancio, è già diventato una hit dell’internet cinese.

Riprende il tema dello sfratto forzato, tristemente noto alle cronache dal Celeste Impero.

Negli ultimi anni, milioni sono stati infatti i cinesi allontanati dall’oggi al domani dalle proprie abitazioni, formalmente in nome di “esigenze di risanamento di quartieri malsani”, in realtà spesso vittime dell’alleanza tra un potere autoritario e gli interessi speculativi di palazzinari senza scrupoli. Molti i gesti estremi (c’è chi ha praticato una resistenza passiva e chi per protesta si è dato fuoco…) di cittadini esasperati e forse illusi di poter godere di un diritto nuovo di zecca: la proprietà. Diritto al quale le nuove classi medie urbane baciate dal boom economico non sembrano più poter rinunciare a cuor leggero.

In difesa dei cittadini letteralmente espulsi dalle proprie case, si era levata, alla fine del 2009, la voce di 5 importanti giuristi dell’Università di Pechino – Shen Kui, Jiang Ming’an, Wang Xixin, Qian Mingxing e Chen Duanhong – autori di un documento sottoposto all’Assemblea Nazionale del Popolo in cui si chiedeva una revisione delle normative in materia di demolizioni, a loro avviso palesemente anticostituzionali.

La battaglia, almeno finché dall’alto qualcuno non imporrà il Game Over, continua ora sul web.

10 stelle nella galassia GLBT cinese

Nel generale clima di sviluppo e cambiamento, c’è una Cina che viaggia a velocità ancora più folle. Finalmente. È quella della comunità GLBT, che si sta ritagliando spazi sempre più ampi all’interno di una società che vede ammorbidire al suo interno vecchi stereotipi e pregiudizi rigidissimi. Appena ieri rimossa dall’elenco delle malattie mentali, era il 2001, l’omosessualità è ben lungi dall’essere una condizione unanimemente accettata. Tuttavia, molti sono gli spiragli che lasciano ben sperare.
Un documentario, curato da Queer Comrades, propone la lista di 10 personalità di spicco all’interno della galassia GLBT cinese. 10 personaggi impegnati da anni in battaglie di diverso genere nei campi più disparati, ma uniti nell’affermazione degli stessi diritti.
Conosciamoli uno per uno.

Cui Zi’en

Messosi in luce in un talk show televisivo nel 2000, è famoso per il suo coming out pubblico, uno dei primi in Cina. Cui è una delle forze trainanti del Beijing Queer Film Festival. Alla fine degli anni ottanta ha iniziato a tenere lezioni sul cinema gay per gli studenti dell’Istituto di Ricerca della Beijing Film Academy. È particolarmente orgoglioso del fatto che uno dei suoi studenti, Zhang Yuan, ha diretto il primo film gay in Cina, “East Palace West Palace”.

Sam

Dopo la laurea, Sam ha preso consapevolezza del senso di disperazione che attraversava la comunità lesbica. In risposta, nel 2005, Sam ha fondato “Les Plus”, il più longeva rivista lesbica in Cina. All’inizio offriva lavoro soltanto ad una piccola redazione, oggi il personale è cresciuto molto. Sam fa anche parte del consiglio di amministrazione di Lala Alliance, l’associazione che coordina le attività delle diverse organizzazioni delle lesbiche in Cina. Un sacco di attivisti citano Sam come una grande fonte di ispirazione.

Zhou Dan

Zhou Dan è un avvocato trentenne di Shanghai che impiega il suo tempo libero offrendo consulenze legali alle persone gay. Afferma che le questioni che più frequentemente gli vengono sottoposte riguardano il matrimonio gay o casi di ricatto e di violenza. Molti dei suoi clienti sono uomini gay che intendono divorziare dalle mogli o che hanno preso in considerazione matrimoni fittizi con donne lesbiche. Tra le 60 persone più influenti in Cina nella classifica di “Time” del 2009, Zhou Dan era l’unico apertamente gay.

Xu Bin

Dopo aver studiato negli Stati Uniti, Xu Bin è diventata attiva nel movimento GLBT in Cina nel 2003. Lavora per una ONG chiamata Common Language ed è considerata una delle persone che con il loro agire stanno facendo compiere passi da gigante all’intero movimento. Nel 2009 ha organizzato a Pechino una mostra d’arte sul tema della diversità di genere. Molto importante anche il suo contributo nella regia dell’iniziativa lanciata nel quartiere pechinese di Qianmen per San Valentino, con le foto di matrimoni gay che hanno fatto il giro del mondo.

He Xiaopei

Attiva nel movimento GLBT quando essere omosessuale nel celeste impero era ancora sostanzialmente un crimine, ha focalizzato la sua azione sul campo dei diritti. Con la sua organizzazione Pink Space conduce un lavoro sulle mogli di uomini gay, una categoria dimenticata. Concentra i suoi sforzi anche su altre persone a rischio emarginazione, come i disabili, le prostitute e i transessuali. Crede che le donne debbano poter godere pienamente del sesso.

Xiao Hei

Relativamente nuova nella comunità GLBT, ha dato vita ad un gruppo chiamato “No Boundaries for transgender people”. La sua organizzazione non si prefigge soltanto di avvicinare le persone, ma intende anche sconfiggere l’ignoranza diffusa attorno al concetto di transgender. Un concetto che va oltre l’eventualità di essere un transessuale o una drag queen. Ci sono persone che non si riconoscono nel proprio sesso biologico, ma che non si identificano nemmeno nell’altro. Non cercano soluzioni come un intervento chirurgico, e non vogliono sottostare a norme sociali. Il lavoro di Xiao Hei si rivolge anche al mondo dei bisessuali, che sono ancora più mobili nella loro identità sessuale.

Jiang Hui

Jiang Hui ha contribuito a fondare, 11 anni fa, più grande sito di notizie gay cinese: Aibai. Inizialmente si trattava di un sito per omosessuali alla ricerca di un rapporto d’amore. Nel corso del tempo ha attratto sempre più visitatori ed ha ampliato i suoi orizzonti con l’aggiunta di rubriche e forum. Aibai gioca un ruolo importante nell’aiutare altre organizzazioni a comunicare tra loro.

Xiangqi

A Shanghai nel 2001 Xiangqi ha contribuito alla creazione dell’avveniristico sito web NüAi, dedicato al mondo delle lesbiche cinesi. Nel 2005 le animatrici del sito hanno costituito un’organizzazione chiamata Shanghai NüAi, che gestisce saloni di bellezza e una hot line. Il gruppo si occupa anche di un progetto legato alla memoria, registrando le voci di lesbiche cinesi che raccontano le loro vite misconosciute.

Tong Ge

Tong Ge è il più antico attivista nel documentario. È stato arrestato dalla polizia per il suo orientamento sessuale nei primi anni novanta e di conseguenza ha perso il lavoro. È diventato un ricercatore, scrive articoli e libri con tematiche espressamente gay, indaga il mondo del sesso e intervista personalmente uomini che si prostituiscono e i loro clienti. Tra le tematiche che è solito affrontare c’è anche l’omosessualità vissuta dagli anziani.

Ray Mahoney

Inglese, insegnante di 51 anni, frequenta sale da ballo e saune distribuendo informazioni sulla prevenzione dell’AIDS e sull’omosessualità. Attivo nella comunità GLBT e in molte organizzazioni di volontari, è particolarmente attento al dialogo con persone di mezza età. Si reca anche nei parchi in cui i genitori cinesi cercano spose per i loro figli, al fine di fornire loro rudimenti sull’omosessualità e aprendo loro gli occhi sulla possibilità che i loro ragazzi siano gay.