La giornata “felice” di un consumatore cinese

Negli ultimi anni, e in particolar modo negli ultimi mesi, non passa giorno in Cina senza che venga diffusa la notizia della scoperta di qualche scandalo alimentare: dal latte alla melamina alla carne di maiale fluorescente, dalle angurie che esplodono per l’uso eccessivo di sostanze fertilizzanti fino ai pesci imbottiti di ormoni. A questi fatti bisogna aggiungere tutta una serie di altre problematiche complesse legate all’inquinamento, ai prezzi delle case sempre più elevati e ai prodotti cancerogeni o velenosi. Insomma, per il cittadino cinese i motivi di quotidiana preoccupazione non mancano. I consumatori del Celeste Impero, però, sono sempre più consapevoli di quello a cui vanno incontro. Per ora si limitano a farne una satira ironica da diffondere sui social network cinesi, ma è probabile che in futuro potranno mettere in campo strategie di difesa dai vari soprusi molto più concrete. E quello che accadrà, se accadrà, non potrà che fare notizia.

Tratto da Renren, il cosidetto “facebook cinese”:

Quando mi sveglio la mattina, mi lavo i denti con il dentifricio contenente glicol dietilenico,

Mi lavo la faccia con l’acqua puzzolente di alghe,

Preparo al mio bambino una bottiglia di latte che contiene melamina e ormoni, mentre bevo il latte di soia prodotto dai laboratori clandestini.

Mangio un impasto intrecciato fritto nell’olio scolato e due uova saltate di anatra con il Sudan rosso (colorante alimentare illegale e cancerogeno),

Talvolta, mangio panini al vapore il cui ripieno di carne è fatto con i cartoni di carta da macero e sottaceti conservati nei secchi della vernice.

Quando ho finito di mangiare e bere, vado nella fabbrica di sigarette di contrabbando dove lavoro e arrivo in tempo.

Dò una sbirciatina alle informazioni sul mercato azionario dal mio cellulare falso: è precipitato da 6.124 a 1,240.46.

A mezzogiorno, vado in mensa per il pranzo con i miei colleghi.

Ordino anguilla piccante, nutrita con contraccettivi orali per farla diventare più grande, e un piatto di gamberi pescati dagli avanzi, e un po’ di cavolo cinese irrorato di DDVP (insetticida),

Poi prendo una ciotola di riso ammuffito e velenoso.

Il proprietario versa una tazza di tè con foglie contenenti quantità di metalli pesanti 100 volte superiori al limite.

Quando pago il conto, mi dice che 168 yuan ($ 25) è un numero che porta bene e non mi fa alcuno sconto. Il proprietario mi dà in resto alcune banconote false.

In serata, torno a casa.

Cucino al vapore il maiale che contiene clenbuterolo cloridrato (un additivo illegale),

Preparo un piatto freddo di meduse intrise di formalina,

prendo un panino che contiene un agente sbiancante fluorescente,

sorseggio una tazza di liquore adulterato con il metanolo.

Quando sto per andare a dormire, la formaldeide rilasciata dai materiali delle nuove costruzioni infastidisce i miei occhi talmente tanto da farli lacrimare.

Quindi posso solo nascondere la testa nella mia trapunta imbottita con “cotone dal cuore nero (cotone pericoloso e usato e rifiuti industriali in fibra).”

Al pensiero che ci sono ancora 400.000 yuan, più gli interessi da pagare prima di estinguere il mutuo della casa, mi rigiro nel letto e non riesco ad addormentarmi.

Frugo in giro per la casa in cerca di sonniferi e inghiotto mezza bottiglia, ma non funziona.

L’assaggio un po’. Buona. Per fortuna, è solo polvere di riso glutinoso…

Latte alla melamina: colpevole anche chi denuncia

Sei bambini morti. Quasi trecentomila intossicati gravemente. La Cina sembrava aver chiuso il caso del latte contaminato alla melamina, lo scandalo capace di monopolizzare le cronache nel settembre 2008, all’indomani delle Olimpiadi. L’aveva fatto a modo suo, con pragmatismo e con una rigida offensiva giudiziaria: c’erano state tre condanne a morte per i responsabili diretti, l’ergastolo per i dirigenti della ditta protagonista dello scandalo (la Sanlu), molteplici altre pene esemplari distribuite secondo i diversi gradi di coinvolgimento nel reato.

Di ieri la notizia di una nuova condanna originata da quei fatti. C’è un altro colpevole, per la Cina, nello spinoso affaire Sanlu. Si tratta di Zhao Lianhai, 38 anni, genitore di uno dei bambini intossicati.

La sua colpa? Zhao si sarebbe macchiato del reato di “incitamento al disordine sociale”. Di diverso avviso l’avvocato Li Fangping, pronto a dichiarare che il suo assistito non avrebbe fatto “nulla più di ciò che avrebbe fatto un normale cittadino”.

Ex impiegato della China’s Food Quality and Safety authority, Zhao Lianhai due anni fa ha subito realizzato che la tragedia capitata a suo figlio (una grave patologia renale dovuta al composto chimico inserito nel latte al fine di esaltarne artificiosamente le caratteristiche nutritive durante i controlli) avrebbe potuto in breve tempo espandersi a macchia d’olio su migliaia di bambini e colpire soprattutto tra le famiglie più povere e sprovvedute, incapaci di riconoscere in tempo i sintomi dell’intossicazione.

Si è quindi attivato creando una rete di sostegno per i genitori vittime del latte alla melamina e soprattutto fornendo informazioni utili ai cittadini grazie ad un sito web. Ha clamorosamente rotto il silenzio che le autorità hanno fin da subito deciso di far calare sulla vicenda, timorose di veder sorgere nei consumatori pericolosi sentimenti di diffidenza. Si è fatto intervistare, ha partecipato a pubblici confronti.

Nel novembre del 2009 Zhao Lianhai è stato ammanettato e incarcerato come un pericoloso criminale. Da allora non ha più potuto incontrare la moglie e il piccolo Zhao Pengrui, involontario coprotagonista della vicenda. Nella primavera del 2010 ha avuto inizio il processo, conclusosi ora con la condanna a due anni e mezzo di reclusione, il primo dei quali ormai già scontato.

Il caso del latte alla melamina sembrava aver inaugurato una nuova era nella gestione della sicurezza pubblica da parte delle autorità cinesi. Inizialmente i media avevano potuto raccontare i fatti, e nella società erano sorte iniziative simili a quelle che in occidente sono appannaggio dei movimenti per i diritti dei consumatori.

Fuochi di paglia: a due anni dallo scandalo, un uomo sta conducendo uno sciopero della fame in carcere gridando la sua innocenza (“se denunciare un reato alla polizia è considerato un crimine…. allora viviamo in una società davvero pericolosa”, ha dichiarato Zhao) e migliaia di famiglie sono state risarcite per le gravi patologie di cui sono vittime i figli. 2000 yuan per ogni bambino. All’incirca 210 euro.

La Cina dice addio all’amico della natura  

Liang Congjie è stato un pioniere. Un modello e un maestro per tanti cinesi che hanno a cuore il futuro della loro patria. Sarà per questo che quelli di “Amici della Natura” – Ong fondata nel 1994, la prima riconosciuta dalla legge – piangono quello che per tanti anni è stato il loro leader, scomparso il 28 ottobre scorso, e lo ricordano con una grande foto in bianco e nero sulla homepage del sito ufficiale. Uno sguardo posato e gentile, quello di Liang Congjie, proprio come il tono delle sue tante battaglie. Sì, perché pur avendo mutuato dal modello internazionale di Greenpeace un solido impianto di valori, l’ambientalismo della Ong di Liang ha sempre ripudiato i toni sensazionalistici, le clamorose azioni di boicottaggio o di protesta. Preferendo ai blitz e alle campagne ad effetto il lavoro puntuale di pungolo delle istituzioni, un operare non “contro” bensì “dentro il sistema”. Liang ha inaugurato una sorta di “riformismo moderato” lungi da essere ben visto dal Governo centrale e comunque ostacolato dalle note restrizioni sulla libertà di espressione. Ciò nonostante nessun “Amico della Natura” ha mai subito violenze o è stato imprigionato. Forte del suo lignaggio e delle connessioni giuste nelle stanze del potere, Liang Congjie dal 1994 ad oggi ha ottenuto numerosi successi. Che si trattasse di proteggere l’antilope tibetana o l’integrità di una foresta, è riuscito a far aprire gli occhi su questioni ambientali delicatissime, battendosi per l’approvazione di leggi per la tutela dell’ambiente e divulgando nelle scuole i valori di una Green China, l’altra possibile faccia – quella pulita – di uno sviluppo sfrenato e senza regole. Liang Congjie ha dato il la alla nascita di più di 3000 associazioni impegnate nella difesa dell’ambiente e ha ispirato una nuova generazione di studenti che si sono formati su progetti di sviluppo sostenibile del Gigante Asiatico.

Nipote di Liang Qichao (1873-1929), esiliato dall’imperatore dopo aver proposto una riforma delle istituzioni in senso costituzionale, figlio dell’architetto Liang Sicheng (1901-1972), bollato da Mao come “borghese reazionario” per essersi opposto all’abbattimento delle antiche mura di Pechino, Liang Congjie ha vissuto una vita intensa ma sostanzialmente tranquilla. Fino alla vigilia della sua morte, avvenuta all’età di 78 anni, si è potuto recare autonomamente al lavoro, in bicicletta, presso la modesta sede della sua associazione, nella capitale.

Chi lo ha conosciuto e ha potuto vederlo all’opera, afferma di essere rimasto impressionato dalla vivacità dell’ambiente culturale di “Amici della Natura”, qualcosa di estremamente distante dal rigido materialismo e dal pragmatismo che contraddistinguono nell’immaginario collettivo la Cina e più simile al clima che si respira in un campus universitario statunitense.

Difesa della biodiversità, impronta ecologica per gli alimenti made in China, contrasto alla costruzione dissennata di impianti idroelettrici: alcuni dei temi su cui stava lavorando Liang Congjie. Ora toccherà ai suoi tanti “Amici”, che hanno spesso la fortuna di essere giovanissimi, continuare su quella strada.

La Cina imbottigliata

Per almeno un fattore, nelle grandi città cinesi si stava meglio quando si stava peggio. Recenti indagini di un think tank governativo hanno dimostrato che nei grandi agglomerati urbani i sempre più frequenti ingorghi dovuti al traffico hanno riportato la velocità media di spostamento sulle strade ai 12 km/h, la stessa di quando le persone si spostavano in bicicletta.

A causa del problema del traffico, le 15 metropoli più sviluppate del paese – tra cui Beijing, Shanghai e Guangzhou – subiscono perdite economiche per l’ammontare di circa 1 miliardo di yuan al giorno (100 milioni di euro).

Pechino potrebbe raggiungere i 7 milioni di auto entro il 2015, anche se la capacità del suo sistema di trasporto è tarata a 6.7 milioni. Attualmente la città sta aumentando il numero delle auto su strada alla media di 1900 unità al giorno e a settembre ha superato i 4.5 milioni di veicoli.

Davanti a cifre del genere, leggere del “Beijing’s Black Friday” di un mese fa, quando la scelta dei pechinesi di usare la propria auto si è scontrata con la pioggia e l’inizio delle vacanze del Golden Week e ha causato un record di 140 ingorghi in un giorno, non stupisce più. Può solo preoccupare. L’anno scorso le emissioni degli scarichi delle auto hanno prodotto il 50% dei gas inquinanti che rendono velenosa l’aria della capitale. Le autorità stanno cercando di pubblicizzare ed agevolare l’utilizzo dei mezzi pubblici, ma è difficile che nel breve periodo si possano vedere cambiamenti positivi.

La tendenza, infatti, non sembra destinata a cambiare rotta. Grazie alla maggiore ricchezza dovuta alla vertiginosa crescita economica – così come è accaduto in Occidente – sempre più cinesi desiderano acquistare una vettura privata. Le auto immatricolate nel periodo gennaio-settembre 2010 hanno già superato il numero di quelle vendute in tutto il 2009, l’anno in cui la Cina ha compiuto il sorpasso degli Usa come maggiore mercato di auto del mondo con 13.79 milioni di esemplari fabbricati e 13.64 milioni venduti.

Per il 2010 si prevede che sia la produzione che le vendite supereranno i 17 milioni di unità.

La separazione delle acque: un nuovo miracolo cinese

Trasporterà 44.8 miliardi di metri cubi d’acqua all’anno. Costerà 45 miliardi di euro, il doppio rispetto alla famosa diga delle Tre Gole, ma il prezzo potrebbe aumentare. Sarà, a detta di qualcuno, il più grande progetto ingegneristico cinese dopo la Grande Muraglia. Sconvolgerà per sempre la geografia idrica della Cina.

Il South-North Water Diversion Project mira a deviare l’abbondante acqua di un Sud del paese spesso vittima di inondazioni e alluvioni, verso un Nord sempre più esposto alla desertificazione.
L’idea originale è stata addirittura di Mao. Nel 1952 disse “l’acqua del sud è abbondante, l’acqua del nord scarsa. Se fosse possibile, prendere in prestito un pò d’acqua andrebbe molto bene” e da allora generazioni di ingegneri hanno lavorato per concretizzare il suo pensiero.
Il progetto completo prevede la costruzione di tre percorsi principali, formati da canali, gallerie e acquedotti. Due porteranno l’acqua nell’area della capitale, il terzo nel nordovest del paese.
La via orientale, che dopo una serie di ritardi si ritiene sarà pronta nel 2013, ripercorre lo storico Gran Canale del VII secolo d.c. che collegava Hangzhou a Pechino. Sarà lunga 1155 km. L’acqua di un importante ramo del Fiume Azzurro attraverserà lo Shandong prima di passare sotto il Fiume Giallo tramite un tunnel e arrivare alla città porto di Tianjin.
La via centrale porterà l’acqua dalla riserva Danjiangkou sul fiume Han attraverso le province dello Henan e Hebei fino a Pechino, per circa 1267 km. Nei pressi di Zhengzhou, capoluogo provinciale dello Henan, è stato scavato un canale largo 1000 metri e profondo 180 metri che permetterà, anche qui, all’acqua di passare sotto il Fiume Giallo. A causa della scarsità d’acqua della riserva Danjiangkou, di recente è stato proposto di raccogliere acqua dalla diga delle Tre Gole in modo da soddisfare la domanda idrica di questa parte del progetto. I lavori su questa tratta dovrebbero concludersi nel 2014.
La via occidentale dovrebbe essere costruita a partire da quest’anno sull’altopiano Tibetano a 3000-5000 metri d’altitudine, ma è quella che ha più probabilità di non venire mai realizzata. Se venisse portata a termine, 4 milioni di metri cubi d’acqua di tre tributari del Fiume Azzurro (Tongtian, Yalong e Dadu) verrebbero deviati nel Fiume Giallo.
Il monumentale progetto ha scatenato e scatena molte preoccupazioni.
E’ stato accusato di sconvolgere l’ecosistema fluviale, la vita di pesci e uccelli e di danneggiare importanti siti archeologici dell’area che viene considerata “la culla della civiltà cinese”. Nel 2009, inoltre, è cominciato lo sfollamento delle persone che abitano nelle zone interessate dal progetto. Si parla già di centinaia di migliaia di “rifugiati”.
A rendere il progetto ancora più controverso è il fatto che potrebbe rivelarsi inutile. Secondo alcuni report di luglio, infatti, l’acqua del South-North Water Diversion Project, nonostante i circa 400 impianti di trattamento depurativo, è talmente inquinata che potrebbe risultare poco sfruttabile, soprattutto per quanto riguarda la via orientale, situata nella zona costiera del boom delle fabbriche.
Per ora, però, i lavori proseguono. Al momento non è permesso il lusso di pensare alla qualità dell’acqua, è più importante la quantità. La sete di Pechino, infatti, si fa sempre più grave man mano che il numero dei suoi abitanti aumenta. Con i suoi 19.7 milioni di abitanti, la capitale sarà a corto di circa 300 milioni di metri cubi d’acqua finché il percorso centrale del progetto di diversione delle acque non sarà completato nel 2014.
Storicamente, gli imperatori e i dirigenti cinesi hanno sempre attribuito molta importanza ai progetti idraulici perché considerati un segno tangibile dell’abilità dei regnanti.

Un tuffo nell’inquinamento cinese

La Cina è il paese che inquina di più al mondo. Si è guadagnata questo titolo poco lusinghiero soprattutto a causa della forte dipendenza dal carbone come fonte d’energia per la sua vertiginosa crescita economica. Nonostante i recenti inviti dei leader a utilizzare sempre di più fonti di energia pulita, infatti, il conveniente combustibile fossile rimane il principale motore della corsa del Celeste Impero.
Greenpeace ha da poco rilasciato una relazione che fornisce un’immagine concreta di quanto grave sia l’inquinamento che deriva dall’uso massiccio di questa risorsa mineraria. In Cina, gli impianti per la produzione elettrica da carbone generano una quantità di ceneri tossiche in grado di riempire un’intera piscina olimpica ogni due minuti e mezzo, per un totale di almeno 375 milioni di tonnellate all’anno.
Il vero problema in Cina, secondo il gruppo ambientalista, sta nel fatto che la maggior parte dei 1400 impianti termoelettrici attivi nella Repubblica Popolare non rispetta i regolamenti relativi allo smaltimento di queste sostanze. La conseguenza principale è la loro dispersione nell’acqua e nell’aria, che causa l’erosione dei già scarsi terreni e la contaminazione delle risorse idriche, e contemporaneamente danneggia la salute delle persone e la qualità dell’ambiente.
La ceneri di carbone, in caso di venti forti, possono diffondersi nell’aria giungendo fino a 150.000 chilometri di distanza.

Il treno sul tetto del mondo

Dopo aver inaugurato nel 2006 la ferrovia più alta del mondo – la Qinghai-Tibet Railway, che viaggia a un’altitudine di 5.072 metri sul livello del mare – la Cina ha deciso che è arrivato il momento di dare il via alla sua espansione.

Ieri sono cominciati i lavori per un nuovo tratto ferroviario che collegherà Lhasa a Xigaze (Shigatse), la seconda città più grande della provincia autonoma del Tibet, situata a 280 km a sud ovest della capitale. Il progetto prevede un investimento di 13.3 miliardi di yuan (circa 1 miliardo e mezzo di euro) e 4 anni di lavoro.

La sfida ingegneristica, come spesso accade con le grandi opere cinesi, sarà al limite dell’impossibile, viste le particolari caratteristiche geografiche della regione. Più della metà dei binari, infatti, correrà sopra ponti e dentro tunnel.

Una volta completata, la nuova linea ferroviaria avrà una capacità di trasporto di 8.3 milioni di tonnellate all’anno e potrà ospitare convogli che marciano fino a 120 km orari.

I funzionari cinesi hanno definito il nuovo progetto “un importante strumento di sviluppo e modernizzazione per l’area”.

Molti, tuttavia, leggono il nuovo sforzo come una mossa del governo di Pechino per accelerare l’immigrazione dei cinesi Han in Tibet e per rafforzare l’influenza della Repubblica Popolare al confine con il Nepal. Si specula già sull’esistenza di un altro progetto di estensione della nuova rete ferroviaria che mirerà a collegare Xigaze a Nyalam. A quel punto, a dividere Nyalam (Tibet) da Kathmandu (Nepal) saranno solo 120 km.

2020: 200.000.000 di auto sulle strade cinesi

Secondo il “China Securities Journal”, che cita fonti governative, nel 2020 circoleranno in Cina 200 milioni di veicoli. Incalcolabili gli effetti che una tale crescita potrà provocare sull’ambiente e sulla sicurezza energetica della nazione asiatica. Viva preoccupazione è stata espressa, nel corso di un forum internazionale dell’industria automobilistica tenutosi nei giorni scorsi a Tianjin, da Wang Fuchang, del Ministero dell’Industria. La Cina sta lottando per emanciparsi dagli effetti nefasti della crisi mondiale, che ha provocato un drastico ridimensionamento nel 2009 anche per l’industria automobilistica. Dopo un ulteriore rallentamento nel corso del secondo trimestre del 2010, il mercato si è brillantemente risollevato in agosto grazie agli incentivi promossi dal governo per le auto ecologiche.

Il gigante asiatico ha da tempo raccolto la sfida per la produzione di auto elettriche e a basso consumo energetico in quella che Wang ha definito “una questione vitale per il settore”. “Adotteremo misure per promuovere l’innovazione e aiutare le nostre imprese a dotarsi delle tecnologie necessarie. Predisporremo linee guida e offriremo incentivi per accelerare lo sviluppo”, ha aggiunto il funzionario.

Nel 2009 la Cina ha superato gli Stati Uniti diventando il primo produttore al mondo di automobili e il primo mercato del settore.

Il funzionario del Ministero dell’Ambiente, Liu Zhiquan, nel corso del medesimo forum, ha messo in guardia dai rischi di uno sviluppo così imponente. Una città cinese su cinque soffre di grave inquinamento dell’aria, mentre oltre un terzo delle 113 principali città non ha raggiunto gli standard qualitativi dell’aria fissati al livello nazionale.